Kappa Magazine (12/1996)
Kitakubo OVA (July 1994)
Eureka (April 1997)
An interview with Hirohiko Araki taken from Issue 54 of Kappa Magazine, published December 1996.
Interview
A Stand For A Friend - Interview with Hirohiko Araki
(Edited by Andrea Baricordi with special thanks to Naomi Okita and Tiziano Capelli)
Before we start the interview--can you tell us a bit about yourself?
Araki: My name is Hirohiko Araki, I was born June 7, 1960 in Sendai, Miyagi Prefecture.
Very good. Let's start with JoJo, then. I think it's safe to say that this series is the only "generational saga" to come from Japan. Was that your plan from the start?
Araki: Only partially. Let me explain: I originally only planned for the series to be three parts, ending with the final confrontation against Dio Brando. This meant that I was already aware of the fact that I would need to make three different JoJo's, who would–in some sort of way–all be descendants of each other, and that their lives would be linked by a common curse. Anyway, I have to say that editors at the time weren't keen on the idea of switching protagonists, especially for a popular series. If readers took the news badly, it could've ended in a total disaster. But I kept on insisting that we do it this way, mostly because I didn't want to get bogged down drawing the same character for years, and because I wanted progress the story through specific historical periods without resorting to gimmicks like time travel. Fortunately, I was right, and JoJo's Bizarre Adventure has been continuing its success since 1987... Next year, we'll be celebrating our 10th anniversary!
In addition to this revolutionary idea, other elements also proved key for JoJo's success. Of course, we're talking the way characters fight, first using the Ripple and then Stands...
Araki: These elements were, however, only added later. I have to say that introducing two completly brand new fighting techniques has given the manga quite a particular twist: initially, it had been based almost exclusively on horror, mystery and archeological investigations. Fights always liven up a manga series, but I didn't want to employ the same standards that everyone else was using. I was too engaged trying to make something completely new and unique. I was suggested the idea of giving the protagonists ESP powers, but that didn't sit well with me, as well as it already being overused a dozens times. Readers might've got bored of it, and I didn't want that. So I came up with a fighting style based on rhythmic breathing and Ripple Waves that, in an almost scientific way, gives the characters specific powers. As for Stands, I wanted to put various concepts together, including the idea that an aura surrounds every living being and Tarot card readings.
But there were only 22 Tarots, and the Stands, at some point started taking on inspirations from something else...
Araki: Exactly. I liked the idea a lot, and I was so caught up that I didn't realize that the enemies...were coming to an end! Each Tarot card gave a unique ability and character trait to each Stand, and it wasn't like I could just make up new Major Arcana: so I had to resort to using the Egyptian gods. Suffice to say that initially only fifteen Stands were planned, while now we're well past a hundred. I've always tried to instil in the visual design of every Stand the characteristics of which country they originated from, drawing inspiration from certain objects like books, dolls and so on, without ever doing the obvious. Stands are always created in stages: first the abilities, then the shapes; subsequently, I throw all those parts together in order to create a Stand that has balanced aspects to its powers. However, although the Stands are the main focal point, I have to say that I try to put a lot of care and effort into the creation and characterization of the human characters.[Translated by Morganstedmanms (JoJo's Bizarre Encyclopedia)]
Uno Stand Per Amico - Intervista a Hirohiko Araki
a cura di Andrea Baricordi si ringraziano Naomi Okita e Tiziano Capelli
KM - Prima dell'inizio dell'intervista, ci può dire telegraficamente le sue generalità?
HA - Il mio nome è Hirohiko Araki e sono nato a Sendai, in provincia di Miyagi, il 7 giugno 1960.
KM - Molto bene. Partiamo da JoJo, allora. Possiamo tranquillamente dire che questa serie sia l'unica 'saga generazionale' nata in Giappone. Questo rientrava nei suoi progetti sin dall'inizio?
HA - Solo in parte. Mi spiego meglio: l'idea base contava solo le prime tre serie, che avrebbero avuto il loro epilogo nel combattimento finale contro Dio Brando. Questo significa che ero già conscio del fatto che avrei creato tre diversi 'JoJo', i quali sarebbero stati - in qualche modo - l'uno discendente dell'altro, e che le loro vite sarebbero state legate da un'unica comune maledizione. Comunque, devo dire che ai redattori non aggradava molto l'idea di cambiare il personaggio principale di una serie che funzionava bene: se i lettori non avessero accettato la novità, avrebbe potuto risolversi tutto in un clamoroso fiasco. Ma io insistetti per adottare questa soluzione, sia perché non desideravo fossilizzarmi per anni sullo stesso personaggio, sia perché volevo che la storia si evolvesse attraverso alcuni periodi storici ben precisi senza usare espedienti come la macchina del tempo. Fortunatamente ho avuto ragione io, e Le bizzarre avventure di JoJo sta continuando con successo dal 1987... L'anno prossimo festeggeremo il decennale!
KM - Oltre a questa idea rivoluzionaria, altri elementi sono risultati vincenti per il successo di JoJo. Stiamo naturalmente parlando del modo in cui i personaggi combattono, facendo uso delle Onde Concentriche prima e degli Stand poi...
HA - Questi elementi si sono aggiunti però solo in seguito. Devo dire che l'introduzione di due nuove tecniche di combattimento completamente inventate ha dato una piega molto particolare al fumetto: inizialmente doveva essere basato quasi esclusivamente su orrore, mistero e indagini archeologiche. Il combattimento ravviva sempre un manga seriale, ma non volevo impiegare gli standard usati da tutti. Mi ero impegnato per creare qualcosa di nuovo, e volevo che lo fosse completamente. Mi suggerirono di dotare i protagonisti di poteri ESP, ma la cosa non mi soddisfaceva, oltre a essere già stata abbondantemente sfruttata in decine di casi. I lettori avrebbero potuto annoiarsi, e io non lo volevo. Così ho inventato il combattimento basato sul ritmo di respirazione e sulle Onde Concentriche che, in maniera quasi scientifica, dotavano i personaggi di poteri ben precisi. Per quanto riguarda gli Stand, ho voluto mettere insieme varie teorie, fra cui quella dell'aura che circonda ogni essere vivente e la lettura dei tarocchi.
KM - Ma i tarocchi sono solo 22, mentre gli Stand, a un certo punto, hanno iniziato a prendere spunto da altro…
HA - Esattamente. L'idea era piaciuta molto, e io mi ero entusiasmato a tal punto da non rendermi conto che i nemici… stavano per finire! Ogni carta dei tarocchi donava un superpotere e un carattere ben preciso a ogni Stand, per cui non potevo inventarmi nuovi Arcani Maggiori: ho dovuto così ricorrere alle divinità egiziane. Basti pensare che inizialmente erano previsti solo 15 Stand, mentre ora siamo oltre il centinaio (Ndr: l'autore si riferisce all'edizione giapponese, non a quella italiana). Ho sempre cercato di infondere nell'aspetto grafico di ogni Stand un po' delle caratteristiche del paese da cui proveniva, ispirandomi a oggetti particolari come libri, bambole e così via, senza scadere nello scontato. La creazione dello Stand avviene sempre per gradi: prima le capacità, poi la forma; successivamente, doso le parti in modo da creare uno Stand che abbia un aspetto equilibrato ai propri poteri. Comunque, nonostante gli Stand siano la cosa più appariscente, devo dire che cerco di mettere molta più cura nella creazione e nella caratterizzazione dei personaggi umani.
KM - In Italia si sta attualmente concludendo la terza serie. Senza sbilanciarsi troppo sulla quinta, appena iniziata in Giappone, può spiegare ai nostri lettori cosa aspettarsi dalla quarta?
HA - La serie di Josuke Higashikata è ambientata nel 1999, un anno molto misterioso perché, oltre a chiudere un secolo, conclude anche il secondo millennio. L'uomo ha sempre avuto paura di certe date, e pensare che anche noi siamo vicini a quel momento di passaggio mi ha stuzzicato: è un futuro non troppo lontano, tale da essere considerato 'presente', realistico… Qualcosa di imminente e inevitabile che sta per accadere a tutti. Nella saga di JoJo il tempo ha una parte determinante. sia come filo conduttore, sia come conclusione della prima trilogia Ora il tempo è la cornice stessa entro cui si muovono i personaggi. Avrei voluto lanciarmi anche su altri argomenti - uno fra tutti, l'Aldilà - ma temo che per il momento sia prematuro. A differenza delle precedenti, in cui i personaggi viaggiavano per mezzo mondo, lo scenario della quarta serie è una città. Anzi, la città uno città ipotetica, senza per questo volerla rendere ideale o invivibile. Morio-cho diventa sempre più definita e reale man mano che la storia procede: ha i problemi di una città vera, come il traffico, la politica, lo smaltimento dei rifiuti, la sanità, Uno scenario molto complesso per rendere più avvincente e credibile la storia, in pratica. Jotaro Kujo e la sua compagnia hanno intrapreso un lungo viaggio con una meta specifica, e a ogni tappa i nemici li attaccano continuamente per fermarli. In questo caso, i nemici aspettano di essere scoperti in giro per u unico centro urbano: se ci pensate bene, in questo modo è molto più difficile combatterli… KM In tutte le serie di JoJo si riscontrano numerose citazioni musicali, soprattutto fra i nomi degli avversari e degli Stand. Ma il nome del protagonista a chi lo dobbiamo?
HA - JoJo? A un musicista straniero che conoscono veramente in pochi, ma che a me piace molto! II nome di Kakyoin, invece, non è una citazione musicale, ma si riferisce al luogo in cui sono nato, a Sendai. La musica mi accompagna sempre durante la creazione dei miei fumetti: devo molto ai Chicago, agli Yes, ai Led Zeppelin, a Jackson Browne, a Bob Dylan e a quasi tutta la musico anni Sessanta e Settanta. Mi piace molto anche Prince, e lo seguo tuttora. Sono sempre stato squattrinato, e per poter sentire un po' di musica dovevo 'appropriarmi' delle canzoni con un vecchio e scassatissimo registratore a cassette, avvicinando il microfono all'altoparlante della radio. Non avendo uno stereo, e dato che i dischi costavano troppo per le mie tasche, dovevo arrangiarmi cosi… Per quanto riguarda la musica giapponese, invece, devo dire la verità: non l'ho praticamente mai seguita in vita mia.
KM - Tornando al nome dei protagonisti, tutto quadra fino alla terza serie: Jonathan Joestar, Joseph Joestar, Jotaro Kujo... Ma nella quarta troviamo un Josuke Higashikata, che di 'jo' ne ha solo uno. Come la mettiamo?
AH - Con la quarta serie ho voluto iniziare alcuni di esperimenti narrativi, e così ho cercato di rendere più 'giocosa' la scelta dei nomi. Naturalmente, in Occidente è quasi impossibile comprendere perché anche il soprannome di Josuke sia JoJo e non - per esempio - JoHi, ma in realtà è molto semplice: entrambi gli ideogrammi che formano il nome Josuke possono essere letti 'jo'. Ho scelto apposta questo nome perché una volta scritto in kanji, qualsiasi lettore giapponese avrebbe potuto capire il gioco di parole. Mi dispiace per i lettori italiani, ma almeno ho riparato con la quinta serie.
KM - Perfetto, parliamo allora brevemente della quinta serie. E' ambientata in Italia e il protagonista è Giovanna Giorno…
HA - Già. E dato che il suo diminutivo 'GioGio’ si pronuncia esattamente come JoJo, i conti tornano: ho` richiesto alla Shueisha di cambiare anche la copertina, e ora nella fascetta in basso appare una sfilza di GIOGIO al posto del precedente JOJO. Comunque, sarebbe meglio chiamarlo Giorno Giovanna, dato che non è una…
KM - Non sveliamo troppo ai lettori italiani! Fra qualche tempo potranno leggerlo da soli, e in genere preferiamo non dare anticipazioni di questo tipo.
HA - Mi sembra giusto. Non tenevo conto del fatto che in Giappone la serie è in corso di pubblicazione, perciò alcuni 'segreti che sono già stati svelati da noi non lo sono in Italia…
KM - Parliamo di lei come autore. Quando e come è nata la passione per il fumetto?
HA - Be', da ragazzo divoravo letteralmente manga e film, che sono entrati a far parte del mio modo di vedere il mondo. Ho iniziato a disegnare a sette anni, copiando i fumetti di Tetsuya "Rocky Joe" Chiba e Sanpei "Ninja Kamui" Shirato. Più che altro ero un vero appassionato di manga sui samurai, e mì piacevano moltissimo gli horror di Kazuo Umezu. Oh, si, ero anche un grande fan dell'Uomo Tigre! Quando ho iniziato a disegnare fumetti.come dilettante, avevo preso come modello Mitsuteru Yokoyama, autore di Tetsujin 28 e Babil Nisei, ma anche Ikki Kajiwara, l'autore di Tiger Mask. A detta di tutti ero un bambino molto calmo, e mentre i miei coetanei si lasciavano trasportare dalla passione per l'aeromodellismo a radiocomando, io mi rifugiavo nei fumetti e nei film. Pensate che quando usci il primo numero della rivista "Shonen Jump", io ero già li a comprarlo ea leggerlo. Chi l'avrebbe mai detto che i miei fumetti sarebbero stati pubblicati proprio li, e per decine di anni consecutivamente?
KM - Ha detto che anche il cinema ê una delle sue fonti d'ispirazione…
HA - Soprattutto il cinema. A essere sincero, devo tutto al grande regista italiano Sergio Leone e ai suoi 'spaghetti western' con Clint Eastwood. Mio padre nutriva una passione smodata per quei film e quei personaggi, e io li guardavo assieme a lui. Peccato che mio padre non riesca a capire i miei fumetti! Ero anche un grandissimo fan di Godzilla e sono impazzito per L'avventura del Poseidon, anche se purtroppo non potevo andare al cinema troppo spesso a causa dei 'fondi' molto ridotti. Un'altra cosa che mi attraeva parecchio erano gli illusionisti, i prestigiatori. Mi esercitavo con le carte come loro, ed ero diventato anche piuttosto bravo. Gli sport, invece, non hanno influito molto: non amavo troppo quelli da fare in squadra, cosi frequentai per un po' una palestra di kendo.
KM - E per quanto riguarda il singolare abbigliamento dei personaggi?
HA - I vestiti e molti degli oggetti usati dai miei personaggi sono copiati direttamente dai cataloghi di moda francese e italiana, soprattutto da quelli di Versace e Moschino. Sono molto fantasiosi, certo, ma proprio per questo dopo un po' mi stanco di disegnarglieli addosso, e cerco di fare qualche cambiamento. D’altra parte, cosi è la moda. Per l'uniforme scolastica di Jotaro, invece, la questione è diversa. Come ho detto poco fa, uno dei miei personaggi preferiti è sempre stato Babil Nisei, che, come molti ricorderanno, se ne andava in giro per il deserto vestito proprio così. Molto bizzarro. E molto JoJesco, quindi.
KM - C'è qualcuno dei personaggi che ha creato che preferisce?
HA - In cima alla classifica metterei, a pari merito, Josuke, Jotaro, Dio, D'Arby e Nduul; il peggiore, invece, credo che sia Vanilla Ice: non sopportavo nemmeno l'idea di doverlo disegnare!
KM - Cos'ha fatto quando ha deciso di disegnare fumetti non solo per gioco?
HA - Ho cercato di tenere nascosto il tutto perché - a differenza di ciò che si pensa in Occidente - anche in Giappone i fumetti non sono considerati un granché, nonostante le altissime vendite. Ho sempre evitato le fanzine, ma in compenso ho frequentato una scuola di disegno. Durante il corso realizzai due storie western e due fantascientifiche, che feci partecipare al Premio Tezuka senza ottenere il minimo successo: In effetti ero ancora molto immaturo, ma il mio entusiasmo (come capita a molti ragazzi oggi) mi impediva di rendermene conto. E così la cosa si ripeté di nuovo: partii per Tokyo tutto orgoglioso per il nuovo fumetto che avevo disegnato, ma come lo sottoposi al giudizio di un editore, questi trovò un errore alla prima pagina, e si rifiutò di esaminare il resto. In quel momento capii che il fumetto non era una strada facile, e mi impegnai per la prima volta seriamente, completando in quattro mesi (Buso Poker, una storia di trenta pagine che, presentata a un successivo Premio Tezuka, riuscì finalmente a entrare in classifica e a essere pubblicata su "Shonen Jump".
KM - E da quel momento, cambiò tutto…
HA - Proprio cosi. Iniziò un periodo di duro lavoro, ma ero molto motivato. Tornai a Sendai per lavorare al western Outlawman e al fantascientifico Virginia ni Yoroshiku. La mia prima vera serie, pero, fu Mashonen Beetee, grazie alla quale iniziai a comprendere cosa significasse lavorare con scadenze e consegne fisse Spedivo le tavole tramite un corriere e mi confrontavo al telefono con l'editore, che molto spesso mi chiedeva di raggiungerlo Il giorno seguente a Tokyo dove, nello studio grafico della Shueisha, facevo le debite correzioni senza dormire fino al mattino successivo. Con l'inizio di Baoh Raiosha mi trasferii a Tokyo. Era l'estate del 1984, e il termine 'biotecnologia' aveva iniziato ad apparire di frequente sui giornali e nei discorsi della gente; su quest'onda creai il 'baoh', che foneticamente assomiglia molto alla pronuncia anglofona di 'bio' (bàioo), a cui abbinai elementi riferiti al crescente successo di personaggi ipermuscolosi come Rambo. Questa serie ebbe un discreto successo, e cosi potei permettermi il mio primo viaggio all'estero, in Inghilterra. Purtroppo, non conoscendo l'inglese ed essendo di gusti culinari prettamente nipponici, il tutto si rivelò un po' difficoltoso. Poi fu la volta di Gorgeous Irene, che non andò avanti molto a lungo perché i personaggi femminili non mi sono mai riusciti molto bene. E anche per questo che in JoJo non appaiono molte ragazze, e me ne scuso molto con i lettori: giuro che mi sto allenando, e non è detto che un mio nuovo personaggio in futuro (sto parlando di una nuova serie) non sia proprio una donna. Poi fui folgorato da Nikola Tesla, un uomo realmente esistito, grazie a un libro su di lui che avevo letto: un personaggio decisamente strano e geniale, su cui decisi subito di lavorare.
KM - Ci parli delle procedure da lei utilizzate per la nascita di un episodio a fumetti.
HA - Il tutto inizia con una seduta di dodici ore dedicata allo storyboard da mostrare all'editore. Dopo l'approvazione, passo al disegno a matita. Per distribuire efficacemente il lavoro ai miei cinque assistenti, la domenica realizzo lo storyboard e la squadratura; dal lunedì al mercoledì, dalle 11 di mattina a mezzanotte lavoriamo alacremente, con un'ora e mezza di intervallo per il pranzo. Alle 18 di giovedì, se non ci sono stati intoppi, l'episodio è completo, chine comprese, e fino a mezzanotte penso all'idea per la settimana successiva, venerdì e sabato sono in genere dedicati alle illustrazioni a colori oppure alla raccolta di informazioni. Durante queste giornate passo molto del mio tempo a dare istruzioni agli assistenti, e cosi riesco a concentrarmi e lavorare bene solo dopo le otto, quando resto solo. Con un ritmo del genere è di vitale importanza l'ordine, o c'è il rischio di non rispettare una scadenza… E allora si che sono guai!
KM - Un'ultima cosa, prima dei saluti. Molti lettori stanno chiedendo a gran voce il ritorno di personaggi 'sospesi', come Šantana o (soprattutto) Kars. Li rivedremo mai?
HA - No, per il semplice motivo che li considero veri e propri capitoli chiusi. La loro storia si è conclusa nell'ultima vignetta in cui sono apparsi. che stato Capisco Kars sia proiettato nello spazio come un meteorite, e quindi disperso, ma - come narrava la didascalia - ridotto in quello stato la sua mente ha cessato di funzionare. E io non ho intenzione di resuscitare personaggi morti. Mi era stato anche richiesto di creare una seconda serie di Baoh, ma il finale è e resterà sempre quello. Mi dispiace...
KM - Un saluto ai suoi lettori?
HA - In questo momento considero il pubblico italiano molto importante per un giudizio sui miei lavori, proprio perché la quinta serie di JoJo è ambientata (almeno per ora) nel vostro paese. Seguitemi, e vi prometto che farò fare faville alla vostra bellissima terra!References